Lavorare da casa in Inghilterra. A casa di qualcun altro

Per aumentare produttività e creatività ci vogliono idee speciali

16/05/2012 | Claudio_VL | 2 commenti

Da qualche mese lavoro a Londra, in un'azienda che ha sede nella stazione ferroviaria di Paddington. Vivo vicino all'aeroporto di di Heathrow, e trascorro tra le tre ore e le tre ore e mezza in viaggio ogni giorno. L'altro programmatore, che lavora per quest'azienda da circa otto anni, viene da ancora piu' lontano, vicino Reading, ma ha un'accordo con la ditta che gli permette di lavorare da casa almeno quattro giorni alla settimana. Anche lui passa molto tempo sui mezzi di trasporto, comunque, quando viene in ufficio. E questa settimana lavoriamo a casa sua.

Lavorare da casa. Di qualcun altro. WHAT???

Lui lavora per l'azienda dal giorno in cui e' stata fondata, io da pochi mesi, e' quindi scontato che non c'e' ancora stato un completo "travaso di conoscenze" da lui a me, sia per via dell'infrequente presenza di entrambi in ufficio (anch'io lavoro da casa, a volte), sia per la mancanza di tempo: siamo sempre in "firefighting mode", lavoriamo cioe' come vigili del fuoco, impegnati di continuo a risolvere emergenze e a modificare i prodotti informatici aziendali per delle richieste urgenti. Come capita ovunque.

Ora l'azienda si e' resa conto della gravita' del rischio autobus. Il "rischio autobus" non ha niente a che vedere coi trasporti e con il dover fare il pendolare tra casa e ufficio. Si tratta invece, nel linguaggio aziendale britannico, del

rischio che la sola persona che conosce qualcosa di essenziale per l'azienda venga colpita accidentalmente da un autobus mentre attraversa la strada, e l'azienda si ritrovi impossibilitata a continuare la sua attivita' per la perdita di quella persona.

E pensare che in Italia ci si ripete, in azienda, che tutti sono utili ma nessuno e' indispensabile. Strano, vedere come le risorse umane sono considerate in modo piu' realistico nella Perfida Albione.

Questo e' il motivo per cui l'azienda ci ha proposto di lavorare due settimane lontano dall'ufficio e dalle sue distrazioni continue: questa settimana io e Brian lavoriamo a casa sua, vicino a Reading, e la settimana prossima lavoreremo a casa mia. Niente "ho solo una piccola domanda", "puoi farmi un piccolo favore" (che poi quasi sempre sono piccoli solamente per chi li chiede, non per chi deve fornire una risposta).

Sto provando a contare quante aziende italiane avrebbero pensato ad una soluzione del genere. Zero, immagino.

Argomenti: lavorare all'estero, lavoro, vivere all'estero, vivere in Inghilterra

Commenti (2)Commenta


13/06/2012 10:57:50, Mauro
Ti Confermo che in italia persiste il detto che tutti sono utili e nessuno è indispensabile!!
E Come potrai immaginare: Telelavoro? Cos'è si Mangià?
Condivisione delle informazioni? Ma che sei matto poi come faccio a mantenere quel poco/tanto di potere che ho!
E infine la considerazione: Gli italiani sono un popolo che per certi aspetti è meraviglioso, ma nello stesso tempo sono resistenti ai cambiamenti ed alla innovazione quanto l'amianto al fuoco!!!
Non dipende solo da loro come popolo ma anche dalla sua classe dirigente......... Ma meglio non inoltrarsi su questo sentiero, non basterebbero i server di Google per contenere la discussione!!
13/06/2012 14:54:58, Claudio_VL
Tornando al lavorare in Inghilterra, ammetto la mia ignoranza di fronte a qualcosa che non avevo ancora visto fino a pochi mesi fa: l'exit interview. Si tratta del colloquio tra il dipendente dimissionario e il responsabile risorse umane (o altro dirigente) dell'azienda, per verificare se ci sono suggerimenti o problemi che possano aver contribuito alla decisione del dipendente di cambiare aria.

A qualcuno parra' una stronzata, ma un colloquio del genere, se condotto in modo pacato da entrambi i partecipanti, puo' essere utile. Ed e' obbligatorio, credo, da un certo livello di responsabilita' in poi (CTO / IT Manager e dintorni).

Poi magari qualcosa del genere si fa da sempre anche in Italia e io non ne ero al corrente.

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