Un ciclista italiano nel Windsor Great Park

05/08/2019 | Claudio_VL | 0 commenti

È una domenica di fine giugno. Mi alzo presto, un po' per via del bel sole estivo, ma soprattutto perché oggi gli aerei in partenza dall'aeroporto di Heathrow decollano verso ovest, verso Stanwell Moor, il villaggio in cui vivo: impossibile dormire dopo le sei di mattina. Alle otto e mezza esco di casa e vado a fare un giro in bici con la mia nuova MTB.

Alle nove e mezza, dopo l'unico punto "difficile" della pedalata - la salita verso Englefield Green - mi trovo nello Windsor Great Park, che gia' conoscevo per i branchi di cervi, il pittoresco ufficio postale e le cacce al tesoro, e per la strana regola riguardo a biciclette e sentiero reale.

Oggi però non sono interessato a queste cose: è una mattina splendida, col sole che scalda senza scottare, l'aria fresca al punto giusto. Le strade del Windsor Great Park sono asfaltate e pulite, sono pochi i veicoli a motore autorizzati a circolarvi, per cui ci sono soprattutto ciclisti e escursionisti a piedi: gli altri escursionisti, quelli a cavallo, hanno sentieri sterrati separati. Una giornata perfetta.

Mi sorpassa un ciclista su una bici da corsa. A occhio mi pare che il tizio sia sulla settantina, e anche se è in forma, non va molto più veloce di me. La mia reazione naturale è di mettermi in scia a distanza di qualche metro, per non disturbare e per non rischiare un incidente. L'anziano ciclista procede bene, e dopo un po' noto che devo spingere un po' per stargli dietro. Poi noto che devo spingere molto, e mi rendo conto che la mia gomma di dietro si sta sgonfiando. Ho forato. Stava andando tutto troppo bene.

Mi fermo ed esamino la ruota posteriore, trovo una grossa spina infilata nel pneumatico, che a questo punto è completamente a terra. Gli attrezzi per riparare le forature sono ancora sull'altra bici, quella vecchia, per cui mi si prospettano due possibilità: spingere la bici fino a casa oppure farmi aiutare da qualcuno. Tanti ciclisti nel parco, oggi, ma tutti molto veloci, come se temessero di perdere la maglia rosa o gialla.

Quello che fino a poco fa era un parco con stradine molto lineari e pulite improvvisamente diventa un labirinto di salite e sentieri impossibili da ricordare. Mentre pedalavo avevo in mente una chiara idea di quale direzione prendere per attraversare il parco, raggiungere Virginia Water con le sue anatre mandarine e il totem canadese, poi Savill Garden con le sue piante e con l'obelisco di Cumberland, infine uscire dal parco tra Englefield Green e Egham Wick.



Avevo memorizzato le svolte senza particolare attenzione, fidandomi del fatto che trovare nuove strade nel Great Park perdendomi è un piacere. Ma trovare la strada giusta spingendo una bici, magari pure in salita, è diverso da andare in giro in bici: vai lento, fai molta più fatica, e non ti godi molto le deviazioni sbagliate. E oggi - in mezzo ad un parco senza wifi - non ho neppure il mio orologio-bussola, quindi dovrò affidarmi alla posizione del sole e al muschio sugli alberi per capire in quale direzione sto procedendo.

Inizio a ripercorrere la strada che ho fatto fin qui, sapendo che ci vorranno alcune ore per arrivare a casa: un'ora in bici = tre ore a piedi, immagino. Non solo non c'è il wifi, in questa parte del parco non c'è neppure copertura per la rete di Three, quindi Google Maps è fuori gioco. Mi faccio comunque un'idea della direzione giusta. Ciclisti che si fermino, zero.

Dopo un bel po' arrivo all'ingresso da cui ero entrato nel parco, quello vicino al pub The Fox and Hounds, non lontano dal prato comunale di Englefield Green. Esco dal parco, mi fermo a bere un po' d'acqua, e un ciclista - anche lui appena uscito dal parco - mi supera guardando la mia bici, mi dice qualcosa che non riesco a capire, poi torna indietro e mi chiede se ho un problema con la bici. Gli dico della gomma a terra, lui mi offre una camera d'aria che ha nel suo zaino. È lo stesso ciclista che ho visto questa mattina, l'anziano sulla bici da corsa. Gli faccio notare che la sua camera d'aria (per ruote da 26 pollici) difficilmente sarà adatta alle 27,5" larghe della mia mountain bike, lui risponde che perlomeno con quella camera d'aria dovrei riuscire ad arrivare fino a casa.

Inizio a lavorare sulla bici, e intanto parlo con questo signore, l'unico tizio che ha deciso di fermarsi ad aiutarmi. Vive a queste parti, vicino a Staines, come me. Finita la sostituzione della camera d'aria, lui commenta che ho una bella bici. È gentile, la mia B-Twin Rockrider è... dozzinale, mentre la sua piccola bici da corsa è una Colnago, cosi' gli rispondo che la sua bici viene dalla stessa Nazione da cui vengo io.

"Ma sei italiano?", mi chiede in italiano.

Il tizio, l'unico ciclista che si sia fermato ad aiutarmi oggi, è italiano, piemontese del Lago Maggiore. Non so di quale nazionalità fossero i ciclisti che non si sono fermati.

Argomenti: bici, Heathrow e dintorni, italianità

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